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2009 Gruppo Ana Protezione Civile Caviole Cime d’Auta – Testimonianza Volontari in Abruzzo
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GRUPPO ANA PROTEZIONE CIVILE CAVIOLA CIME D’AUTA
TESTIMONIANZE VOLONTARI IN ABRUZZO
Con i colleghi e amici del gruppo di Protezione Civile ho condiviso l’esperienza di aiuto ai terremotati d’Abruzzo, sul Lampo, a stretto contatto con la gente.
Sono partito con non poche ansie e molti dubbi perché la situazione era di assoluta emergenza. Si trattava di allestire o completare e riparare le strutture ricettive e quelle di soccorso, di ristoro, e poi le prime scuole di fortuna…
Sono stato impiegato, insieme ad altri, sia di giorno che di notte, soprattutto per la parte elettrica.
I sentimenti che mi porto dentro sono gli stessi dei miei compagni di missione. Ed è p proprio a loro che vorrei dire il mio primo e più profondo grazie: per la coerenza, la serietà e il sacrifico con cui si sono resi disponibili, disponibili con slancio e vero spirito di Protezione Civile il bisogno di slancio umano e solidarietà. Sono queste le due risorse, gratuite e incondizionata, che aiutano a tenere viva la fiamma della speranza quando sembra che manchi tutto il resto. Essere pronti a impegnarsi e partire per una missione che è prima di tutto è umanitaria.
E vorrei dire grazie anche al coordinatore locale Ivo Gasperin, senza il cui forte ed assiduo impegno, anche il nostro sarebbe stato vano. Grazie a tutti. Celeste
Siamo partiti perché siamo stati chiamati, siamo partiti perché volevamo esserci, siamo partiti perché era giusto farlo, siamo partiti perché il disastro è capitato e questa volta non era esercitazione o simulazione, era vero dovevamo buttarci dentro. Dopo di alcuni e prima di molti altri, volevamo portare il nostro contributo a quella gente sfortunata. U viaggio è stato lungo, durato tutta la notte. Con l’arrivo del nuovo giorno ci siamo subito resi conto che le condizioni del tempo non erano buone: pioggia e freddo; le montagne innevate si vedevano poco sopra di noi. E la bassa erba verde era il segno che la primavera era anche Il da poco incominciata.
Nell’avvicinarsi alla zona dell’Aquila si notavano i primi crolli di casette nei campi: parti di parete di sassi spigolosi di color giallo grigiastro erano ancora in piedi. Alla base giacevano gruppi di pietrame crollato. Potevano circolare, nella zona colpita dal sisma e grande circa come la nostra provincia solo i mezzi di soccorso e quelli non danneggiati dei residenti. Si notava subito l’inusualità del traffico perché una macchina si e una no transitava con i lampeggianti blu accesi.
Arrivati alla tendopoli di san Demetrio (antico borgo medievale situato a circa 6Km da Onna) quale erano ospitati circa 600 sfollati, subito al lavoro…perchè chi ci aveva preceduto era in partenza per il ritorno.
Alla sera, dopo la lunga coda sotto la pioggia per la cena, ci siamo avviati alla nostra tenda e sistemato zaino, brandina e sacco a pelo, e abbiamo puntato la sveglia, sperando stanchi morti, di poter dormire almeno per quelle poche ore che mancavano alla mattina seguente. Non avevamo però fatto i conti con le due scosse che verso l’una di notte ci hanno bruscamente svegliato.
Come un tuono, come un lontano sparo di mine, ma a differenza di questi che si riesce a capire la direzione da Lui provengono, il boato del terremoto ti avvolge, viene dal di sotto e tutto il paesaggio che ti sta attorno barcolla, tremo, ha dei sussulti, vibra.
Questo dura non più di alcuni interminabili secondi, poi il boato si calma, le onde sismiche si attutiscono, spariscono torna la quiete, e il silenzio è subito interrotto dalle voci della gente spaventata. Di giorno, o perché viaggi su pulmini o perché sei la movimento, il terremoto si sente di meno, ma nel buio della notte fa un po’ impressione. Questo accade due o tre volta nell’arco delle ventiquattro ore e con intensità differente, il terremoto ci ha fatto compagnia durante il nostro turno settimanale. Spesso, dopo aver cenato in un tendone freddo e mangiato cibo pure freddo, si decideva di fare una passeggiata fuori della tendopoli anche perché, prime delle ventitré, il brusio e il continuo andirivieni della nostra tenda (circa quindici persone) non ci permetteva di prendere sonno. Nell’allontanarsi dalla tendopoli (sistemata in parte all’interno di un campo di calcio e in parte negli spazi adiacenti> d’improvviso il silenzio faceva da padrone. Sembrava il coprifuoco. Era imposto il divieto di transitare con automezzi e anche a piedi perché le case, tutte vuote, non potessero essere visitata da sciacalli. Ad ogni incrocio si incontrava un mezzo delle forze dell’ordine. Lungo tutta le strade, e nelle ripide scalinate di selciato che le collegavano, calcinacci, tegole rotte e pezzi di cornicione caduti ricoprivano in parte il passaggio. Le vie, spesso, erano interrotte da zone transennate con del tavolame o del nastro bianco e rosso che avvisavano chi passava dell’avvenuto crollo di parti di case o di chiese. Di notte con la pioggia che rendeva bagnato l’asfalto, il riflesso dei lontani lampioni con luce arancione, le macerie sulle strade creavano un’irreale atmosfera. In questi spazi vuoti, senza traffico, facevano da padroni I soliti quattro cani, forse randagi, che davanti a noi, zigzagavano silenziosi in fila indiana. Nella tendopoli Invita è dura ma, lentamente, con rassegnazione, la gente ci si sta abituando. Ogni giorno qualcosa migliora.
Con la pioggia e il freddo la giornata di chi ‘vive in tenda passa tra lo stare nello stretto spazio della propria brandina e le lunghe code perla colazione, il pranzo e la cena; almeno per adesso è così. Per i numerosi anziani che vivono nel campo questa situazione è ancor più pesante. Anche i loro già corti passi e i lenti movimenti dovuti all’età erano ulteriormente rallentati dalla ghiaia deposta sul terreno. Camminavano aiutati dall’inseparabile bastone senza mai alzare lo sguardo. Mi sembra di ascoltare i loro pensieri, forse si stanno chiedendo se mai faranno a tempo ad abitare ancora in una casa in muratura. Nessuno degli anziani con me almeno si è mai lamentato della situazione in cui si trovano.
Un giorno, in mensa, un bambino di circa dieci anni mi si avvicina e con un po’ di timore mi chiede se gli posso regalare “il mio nome” (che è scritto nella fascetta e attaccato con uno strip alla giacca gialla). Subito gli rispondo di no, perché, gli spiego, fa parte della divisa. li bambino si allontana triste. Allora lo chiamo e, pensando che ero li per dare qualcosa anche a lui, lo accontento. Una donna di mezza età mi ha raccontato di quella giovane mamma di Onna che abitava vicino a casa sua estratta viva dalle macerie della propria casa che quando ha saputo di aver perso il marito e i suoi due figli di tre e cinque anni incapace di muoversi per le ferita supplicava di portarla vicino a quell’unico muro rimasto i piedi, aspettando che un’altra scossa lo facesse crollare sopra di lei per poter essere sempre “lassù” con i suoi angioletti.
Abruzzo, terra di emigranti, gente che soffre, gente che soffre in silenzio perché un po’ chiusa, come noi montanari, persone che con quel grazie pronunciato sotto ‘voce, ma partito dal cuore ti fanno solo venir voglia di tornare. E ci tornerò. Giovanni e Celeste
San Demetrio, fino a poco tempo fa, non sapevo neanche che esistesse, in che regione fosse o a che provincia appartenesse. Dal 16 maggio 2008, da quando ho trascorso una settimana in aiuto alle persone terremotate, il mio cuore la mia mente sono rimaste laggiù, in quel paesino martoriato dal terremoto, ai piedi del Gran Sasso e della Maiella a una quindicina di chilometri dall’Aquila. Sono andata per portare il mio aiuto, il mio sostegno, ma nel darmi agli altri, è pii quello che ho ricevuto, che quello che ho dato, una soddisfazione immensa!
Ho lasciato la mia famiglia, la mia vita di ogni giorno per recarmi i quei luoghi. E’ stata un’esperienza forte, unica, che mi ha richiesto tanta energia, che si può vivere solo se molto motivati; però ora mi ha lasciato dentro una forza e un esperienza che giudico splendido, stupenda. Mi sono occupata, insieme agli Alpini della Protezione Civile, del Magazzino del campo, cercando di andare incontro alle esigenze e alle richieste degli sfollati: un vestito, una maglia, un paio di scarpe, ascoltando i loro racconti, soprattutto la ‘voglia di ritornare alle loro case, di tornare alla normalità.
Ho sperimentato cosa vuoI dire avere paura delle scosse di terremoto che continuano a ripetersi, ho letto nei loro occhi, seppur provati da tanto dolore, la gioia nel vederci vicino a loro per aiutarli, ci aspettano ogni mattina, con noi si sentono più sicuri, sanno che non li dimentichiamo.
Da quando sono tornata, non passa giorno che io non pensi a quell’esperienza di vita, poi, ogni tanto mi arriva una telefonata dalla tenda numero 14…dove ho conosciuto una persona di 88 anni di età, ma molto giovane nello spfrito, che sapeva incoraggiare ed aiutare altre persone, anziane come lei, ma inferme e bisognose di aiuto e dl compagnia: si recava tutti i pomeriggi nella loro tenda a chiacchierare a a tenere alto il loro mortale.
La mattina che sono partita di buon ora era presenta a salutarmi dispiaciuta di non potermi 1lire un dolce, una crostata.., ma nella tenda non aveva il forno per cucinare… Da queste cose si impara che spesso ci si attacca a cose superflue, materiali, mentre basta poco per essere felici. Maria Grazia
Con molta emozione sono partita alla ‘volta di San Demetrio alle prime ore di notte del 15 maggio.
Siamo arrivati alle prime luci dell’alba e pochi minuti dopo eravamo già al lavoro.
Solo il tempo di accorgersi che il sole stava sorgendo su un ammasso di macerie e detriti, ma anche sui volti di tanti, che si riaccendono di nuova speranza all’arrivo di ogni squadra.
Per tutto il periodo di permanenza nel campo, lavorando a supporto dei magazzini e della cucina, ho avuto la fortuna di stare a stretto contatto con la gente. Mi sono riempita gli occhi dei loro sguardi, pieni di paura e di speranza.
Paura per un destino incombente e la minaccia continua di perdere quel po’ che era stato salvato dal terremoto.
Ma anche la speranza di tornare a vivere normalmente.
E’ impossibile restare indifferenti a tanta sventura e non commuoversi quando incontri gli occhi di un ‘vecchietto che cerca il calore di un sorriso e il conforto di un abbraccio, di un contatto umano.
E ti accorgi che desiderano questo più di qualsiasi altra cosa.
E’ questo l’insegnamento che mi porto dentro: se si pensasse più spesso che dopo tanti affanni e preoccupazioni, bastano quaranta secondi per perdere tutti i propri beni, forse si capirebbe che il bene
più importante è proprio la vita. E la vita sarebbe migliore per tutti. Milena
Son partito da Limana ‘venerdì primo maggio, alla mattina di buon ora.
Siamo arrivati giù alle 1530/1630 Non c’è stato molto tempo per orientarsi e guardarsi intorno perché siamo subito stati messi all’opera per costruire una tenda. La prima notte l’abbiamo passata in un magazzino di fortuna. Ma pochi di noi possono dire di aver ‘veramente dormito.
I pensieri che si sono affollati nella mia testa mi hanno tenuto sveglio a lungo.
Non nascondo di essermi sentito un po’ spaesato fuori dal mio abituale contesto di vita, lontano dalla gente che parla il mio dialetto e con cui alle volte non è necessario neanche parlare per capirsi. Cosi inizialmente ho fatto un po’ di fatica a interagire e stabilire un dialogo con i locali.
Tuttavia nel lavoro quotidiano, continuo e un po’ frenetico, per costruire tende, sistemare docce, servizi igienici, pavimenti di legno, impianti elettrici ho potuto concentrarmi anche nell’ascolto di tutte le ‘voci che mi arrivavano da intorno.
E notte dopo notte tutte queste ‘voci mi ritornavano alla mente.
Fra queste mi torna ricorrentemente alla memoria, ancora oggi, quella di un pizzaiolo. Un uomo che aveva investito i risparmi di un avita e tutta le sue energie per avviare una pizzeria che il terremoto si è portato via solo un paio di mesi dopo l’apertura del locale. Una persona distrutta nel morale, profondamente avvilito, senza più la voglia di andare avanti.
Eppure è bastato che il nostro cuoco lo invitasse ad unirsi alla nostra “truppa” per aiutare in cucino, per ‘vedere riaccendersi nei suoi occhi il desiderio di vivere e lavorare. La sera, alla fine di una lunga e dura giornata, il suo viso sembrava chiedere di poter ripetere l’esperienza anche il giorno dopo. E così è stato. Quando il responsabile gli ha dato appuntamento per il giorno seguente la sua faccia si è illuminata. Non solo, la ritrovata energia e voglia di vivere lo hanno spinto ad uscire dalla tenda e spronare i suoi compaesani a scrollarsi di dosso la sfiducia e l’abbattimento, rimboccarsi le maniche e rialzarsi. Portando ad esempio proprio noi, diceva, che abbiamo lasciato le nostre case, le nostre comodità, la nostra vita per andare giù ad aiutarli.
Mi porto dentro anche un latro ricordo molto toccante: l’ultima sera si è persa una bambina.
Lo abbiamo saputo mentre eravamo seduti tutti a cena. Tutti, ma proprio tutti i commensali si sono alzati e sono andati fuori con torce per cercarla. Fortunatamente la si è trovata in poco tempo, e due minuti dopo era già lì a giocare.
Ripensavo a questa sentimento di protezione, a questo bisogno di calore umano e di sentirsi vicini, alla paura di restare soli, quando sulla via del ritorno, la notte, vedevo interi paesi illuminati dalle luci artificiali ma completamente morti. Nicola
Per info: capogruppo Celeste Scardanzan
tel. 3474707980 casa 0437590516
e-mail: celeste.scardanzan@libero.it
Valt Giovanni tel. 3471185906