2016.11.02 Memoria di Ussita
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Nel giugno del 2015 Ussita ha ospitato la Settimana Nazionale dell’Escursionismo e il Convegno Nazionale sull’Escursionismo del CAI. A Visso si è tenuto l’Aggiornamento per ANE. Le immagini di questi giorni generano una riconoscente memoria. – Fausto De Stefani a Ussita
2 novembre 2016 – Ussita, giugno 2015: su incarico della CCE, la Commissione Centrale per l’Escursionismo, mi trovo ad organizzare due serate culturali nell’ambito della Settimana Nazionale dell’Escursionismo. Un breve itinerario di letture sceniche dedicate la prima ad una storica salita sul Corno Grande (quella di Orazio Delfico), la seconda al Viaggio lungo una Fiaba scritta da Fausto De Stefani.
Armando Lanoce (componente la CCE) mi accoglie ad Ussita e subito ci rechiamo nel teatro comunale, sede delle serate culturali, per gli allestimenti tecnici sul palcoscenico in attesa che arrivino l’attrice Susanna Costaglione e i musicisti Irida Gijergj e Marco Di Blasio, nonchè l’artista figurativo Sandro Visca per la proiezione del suo documento filmato sul progetto Un cuore rosso sul Gran Sasso.
Tutti i momenti ruotano in modo un po’ particolare intorno a temi di memoria naturalmente legati alla montagna. L’intento è quello di costruire un percorso di vibrazioni poetiche attraverso la voce narrante di Susanna, la musica, le immagini, la testimonianza di Fausto De Stefani appositamente invitato, nella prospettiva di determinare un segno più evoluto dell’escursionismo contemporaneo. Momenti aperti anche al pubblico, alla gente di Ussita e del circondario che forse nell’occasione ha avuto del CAI una immagine non propriamente stereotipa.
I momenti ulteriori li trascorro a scambiare pensieri, con Armando, con Paolo, con Fiorella e con i colleghi Accompagnatori di cui percepisco la curiosità verso i momenti teatrali e culturali cui stiamo dando luogo. Un minimo di scambio vive anche con la gente del posto, dai gestori delle strutture ricettive agli amministratori comunali a chiunque mi capiti di incontrare. E la schiettezza del popolo della montagna rimbalza anche qui, sempre ben presente nei modi dell’accoglienza e in quel linguaggio dagli intercalare simpaticamente triviali, elemento DOC di quest’area del territorio marchigiano, che non appaiono mai scurrili o volgari.
Per istinto professionale so bene quanto sia importante comunicare il senso di una presenza e anche in questa occasione extra, ma che comunque mi vede professionalmente coinvolto, cerco di trasmettere nel mio piccolo contenuti ed entusiasmo affinchè la presenza stessa del CAI sia apprezzata in tutta la sua capacità propositiva e moderna.
A Frontignano trascorro le mie notti in un bungalow del camping Verde Ussita, lo stesso dove in questi giorni hanno trovato rifugio gli abitanti del posto. Lo stesso di una notte indimenticabile con Fausto De Stefani, trascorsa nella trattoria del camping dopo la lettura scenica della sua Fiaba al teatro comunale di Ussita, densamente saltellante tra frammenti di memoria e attualità della montagna oggi, con i gestori e i camerieri del ristorante Il Quercione spontaneamente partecipi, molto fuori orario!, della presenza sempre contaminante di Fausto.
Il nuovo mattino propone un rinnovato sguardo sulla montagna. Il Monte Bove è proprio lì e si erge a gendarme maestoso del versante nord dei Sibillini, una delle catene più importanti del nostro meraviglioso Appennino che qui si esprime anche attraverso la dimensione magica sottolineata dai suoi toponimi simbolicamente bizzarri, fluttuanti tra i segni legati alla terra (il Bove ad esempio) e certa ritualità evocativa pulsante di una asperità che tende alla leggenda, al mito, al mistero infine.
Come non pensare, adesso davvero con la pelle d’oca, alla dionisiaca Sibilla (da qui i Sibillini) meravigliosa e orrenda profetessa di sciagure Come non rimanere affascinati da quel lago nascosto e secondo la leggenda tomba di Pilato ma anche dimora di Negromanti dediti al patto col diavolo Come non essere attratti da quella affilata lama che è la Cresta del Redentore, aereo bastione esorcizzante, per vivace contrappunto , il vicinissimo è guarda un po’! – Pizzo dimora del Diavolo
Normale che da questo aspetto si generino linee di pensiero molto speciali, tutto quanto concorre a fare dei Sibillini una terra alta che si esprime, colta e anche aristocratica, attraverso una sorta di letteratura mitica e per così dire irregolare, perturbante, contaminata da un portato filosofico che si richiama a quella sezione aurea dal segno irrazionale ed irriverente. E dove si mescolano macrocosmo e microcosmo, Dio e uomo, Universo e Natura, Bene e Male, coinvolgendo il pensiero in un affascinante itinerario di simboli che ci conducono verso un canone di bellezza capace di contaminare e nutrire l’ambiente antropico.
Quasi si voglia o si debba rivolgersi al magico e al divino per esorcizzare l’ansia degli interrogativi connessi al senso più profondo dell’esistenza armonica con una natura dalla bellezza aspra e finanche paurosa. Una ricerca di armonia che qui sui Monti Sibillini si può percepire nelle stesse forme del lungo rilievo; nei colori di una fioritura dalla spettacolarità mozzafiato che si ripete ciclicamente sulla Piana di Castelluccio, originando una alchimia cromatica di rara bellezza; nella presenza dei piccoli borghi che ne completano l’affresco. Perchè di questo si tratta: di un perturbante dipinto dell’anima.
Armando sa bene tutto questo e le sue fotografie ne sono la testimonianza visiva, l’ostinato tentativo di immortalare lo sguardo che sfida la comunicazione emotiva della bellezza che ci è dato di attraversare, e con la quale tentiamo una compromissione commovente e rischiosa, come la stessa Fiaba di Fausto sa ricordarci. Questi sono i Sibillini, e la CCE con la Settimana dell’Escursionismo ha ben saputo raccoglierne la pulsione culturale che da questi fantastici ambienti si sprigiona, così contaminante, così stimolante.
Da pochissime ore, ancora adesso mentre scrivo, le scosse sismiche lanciano segnali inquietanti, destabilizzano i nostri equilibri effimeri fino a costringerci al confronto crudele con le nostre stesse paure. Le immagini che giungono sono di una crudeltà assoluta: Ussita non c’è più. Con lei non ci sono più anche gli altri centri dell’area dei Sibillini. Più in quota Sibilla e Pilato, Redentore e Diavolo sembrano simulacri di una natura indifferente, elementi di una cerimonia che celebra l’energia della terra, che paradossalmente, maledettamente infine, si esprime nella armonia di una danza tragica, crudele, indifferente al destino degli uomini.
Non possiamo non pensarlo, non possiamo non riflettere su quanto determina in noi dolore, sgomento, senso di impotenza, spaesamento. Tutto ci sembra contraddire quella armonia cui pure abbiamo concorso e concorriamo, quella magia della bellezza cui la nostra cultura e la nostra arte hanno contribuito con tanta efficacia. Eppure, basta meno di un minuto e la memoria di secoli scompare. Basta un colpo di tosse della terra… In questi giorni di paura, che viviamo anche solo di riflesso un po’ tutti qui nell’Italia Centrale, lo scambio di telefonate e messaggi whatsapp è intenso. Ne ricevo uno da Armando, che mi invita quasi timidamente a scrivere una memoria di noi Accompagnatori CAI a Ussita, mentre la TV trasmette le immagini di un sacerdote che si inginocchia in preghiera di fede nella piazza di Norcia avvolta dalle macerie della sua chiesa.
E mentre a Ussita, a Visso, ad Amatrice e negli altri centri del cratere sismico i Sindaci invocano – in laica preghiera – il doloroso abbandono delle città oramai insicure nel nome di quel pragmatismo della sicurezza preludio di abbandono, azzeramento della storia personale e collettiva, disorientamento e disarticolazione dei comportamenti quotidiani di forte segno antropologico. Con l’intima, amara consapevolezza è ne sono certo – che quell’esodo forzato può significare il primo e fatale passo verso una decisiva e devastante perdita di memoria.
Due immagini forti quelle del sacerdote e dei Sindaci, due preghiere di segno evidentemente differente ma altrettanto drammatiche, che si fondono nel canto tragico di una invocazione alla vita il cui respiro muove verso un’ incerto futuro di redenzione. Ed io che sono qui a scrivere della nostra memoria di Ussita non posso che inseguire disperatamente le immagini che si ripropongono da quella Settimana dell’Escursionismo, e sono dei lampi che mi attraversano e mi scuotono al confronto con la drammatica realtà dell’oggi. Che mi costringono alla consapevolezza del rischio più vero che potrà determinarsi: quella perdita di memoria fonte della tragedia più intima di un popolo. Quella dispersione della identità culturale che ogni sradicamento, per quanto motivato dalla contingenza, inesorabilmente determina.
E viene spontaneo concludere che forse la Settimana dell’escursionismo di Ussita può avere un seguito. Che forse la CCE può farsi promotrice di una iniziativa mirata alla coesione sociale. Che forse si può lavorare ad un centro di cultura attiva dell’Appennino. Che forse i Sibillini possono diventare un campo scuola permanente per la formazione e per l’escursionismo. Che forse si possono fare tante cose, forti di quella memoria di Ussita che ci appartiene. Forse.
Claudio Di Scanno
CAI Popoli
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